CAMBIA LA MAPPA SULLE EVASIONI
SPOSTAMENTI DELL'EVASIONE
FISCALE ITALIANA
IL rischio-evasione è più alto in Calabria, Sicilia e Valle d’Aosta, seguite da Molise e Campania. In tutte queste regioni, ogni 100 euro dichiarati alle Entrate, ne vengono spesi almeno 130 secondo le rilevazioni Istat, e nei casi-limite addirittura 150. È il divario tra redditi e consumi, che consente di delineare – sia pure con inevitabili sfocature – i contorni della cosiddetta economia non osservata. Un’economia irregolare popolata da grandi e piccoli evasori fiscali, che di fatto finanzia una parte dei consumi nazionali delle famiglie.
Se il dato del Mezzogiorno è tutto sommato consolidato, l’elaborazione del Sole 24 Ore sull’anno d’imposta 2014 – l’ultimo per cui siano disponibili entrambe le serie storiche – mostra un trend inedito. Nei primi cinque anni di crisi, tra il 2007 e il 2012, la forbice tra spese e redditi si era ridotta nelle regioni del Sud e allargata nel Centro-Nord. Con le dichiarazioni fiscali presentate negli ultimi due anni, invece, il divario è diminuito dappertutto, anche se resta superiore al 20 per cento. Risultato: rispetto ai livelli pre-crisi, la differenza media tra consumi e redditi è passata nel complesso dal 24,5% al 21,7% e appare in leggero rialzo solo in Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Toscana. In alcuni casi la riduzione rispetto al 2007 supera addirittura il 10%, come in Campania e in Puglia.
C’è da chiedersi, allora, come definire questa tendenza. La lenta chiusura della forbice consumi-redditi è una buona notizia, o no? Per rispondere bisogna fare un passo indietro. Tra il 2005 e il 2007 interpretare i dati era semplice: aumentavano i consumi, ma i redditi crescevano ancora di più, probabilmente anche per l’effetto di una politica fiscale “severa” del secondo governo Prodi. Quindi non era azzardato ipotizzare una riduzione del rischio-evasione.
Dal 2007 al 2014, invece, il trend non è più stato così lineare: il reddito dichiarato è inesorabilmente diminuito in termini reali, sotto la spinta della crisi, mentre i consumi a volte sono calati più dei redditi, a volte meno; nel 2010, addirittura, sono leggermente cresciuti.
Come si legge nella Convenzione triennale 2016-2018 tra Mef ed Entrate, bisogna inoltre tenere conto dello sfasamento temporale con cui si dichiarano gli imponibili: se un contribuente riceve un accertamento o una comunicazione dell’Agenzia nei primi sei mesi dell’anno, l’effetto deterrente si riflette sui redditi “ufficiali” relativi al periodo d’imposta precedente. Così, il calo dei redditi denunciati nel 2010 a fronte di un aumento dei consumi potrebbe collegarsi in realtà alle dichiarazioni presentate nel 2011, prima che si insediasse il governo Monti.
In ogni caso, se si sommano tutte le variazioni del periodo 2007-2014, si vede che la spesa si è ridotta dell’11,1%, mentre i redditi hanno perso il 9,1 per cento. Come dire: i guadagni delle famiglie sono andati male, i consumi peggio, e l’area del sommerso potenziale resta superiore al 20% (e sarebbe più alta se si calcolasse il reddito disponibile al netto dell’Irpef).
Il crollo della spesa non è una buona notizia, comunque lo si voglia spiegare: crisi dell’economia sommersa, stretta del credito alle famiglie, esaurimento dei risparmi già accumulati o - all’opposto - ripresa degli accantonamenti da parte dei consumatori. Ma è sugli introiti dichiarati dalle persone fisiche che bisogna concentrarsi, perché il fatto che abbiano resistito alla crisi “meno peggio” dei consumi non si presta a un’unica lettura: potrebbe pesare la presenza dei pensionati, il cui reddito è poco sensibile al ciclo economico, ma anche l’emersione di redditi che prima non venivano dichiarati.
Gli ultimi sviluppi in questo senso sono positivi, secondo il direttore delle Entrate, Rossella Orlandi, che nelle scorse settimane ha parlato di una percezione del Paese «molto lontana dalla realtà» sotto il profilo fiscale, indicando inoltre una riduzione del tax gap relativo all’Iva.
Ma è chiaro che le statistiche non possono ancora misurare l’efficacia della strategia antievasione improntata al dialogo e allacompliance (adempimento spontaneo), che quest’anno prevede, tra l’altro, l’invio ai contribuenti di 400mila comunicazioni preventive. Né si può ancora valutare - al contrario - la fondatezza dell’alertlanciato dalla Corte dei conti, che ha sottolineato il calo degli interventi eseguiti dal fisco (621mila nel 2015, quasi il 4% in meno su base annua).
Per ora resta il fatto che l’anno scorso le somme incassate dal contrasto all’evasione hanno raggiunto il record di 14,9 miliardi e che il Mef e l’Agenzia si sono dati come obiettivo 15 miliardi l’anno per il triennio 2016-2018.
Cifre rilevanti, ma ancora lontane sia dalla stima ministeriale delle imposte evase (91 miliardi all’anno) che dal divario consumi-redditi (177 miliardi nel 2014, che pure non possono essere semplicisticamente considerati evasione).
Nelle24Ore
Fonte Dario Aquaro & Cristiano Dell'Oste