SENTENZA ANTI CRISI - EVADERE LE TASSE SI PUO'
EVASIONE DA SOPRAVVIVENZA - Il bivio che spesso si pone davanti a un imprenditore che vede calare i profitti della propria azienda in periodo di crisi è se pagare le tasse fino all'ultimo centesimo, o evitare che i suoi dipendenti rimangano senza stipendio. Seguiamo pertanto la vicenda da tempo, quale secondo una recente sentenza della Cassazione, di cui si precisa non essere l'unica sull'argomento, non è detto che questa debba essere perseguita come reato.
La sentenza - La Terza sezione della Cassazione ha annullato con rinvio il provvedimento con cui la Corte d'appello di Venezia aveva condannato l'imprenditore Tiziano Dorio, colpevole di non aver versato allo Sato l'Iva per oltre un milione di euro.
La storia - Dorio è titolare delle Acciaierie di Badia, nel Polesine, con 120 operai. Negli anni tra il 2006 e il 2007, la liquidità dell'azienda ha subito una drastica riduzione con la crisi che stava per entrare nel suo periodo peggiore. Così l'imprenditore aveva deciso di pagare gli stipendi ai suoi dipendenti, evitando di versare le tasse all'Erario. L'indagine della magistratura è stata inevitabile, seguita da un'assoluzione in primo grado e dalla condanna in Appello.
Il caso - Ora il processo a carico dell'imprenditore si terrà in una nuova sezione della Corte d'appello di Venezia che dovrà tener conto della sentenza di Cassazione, secondo la quale: "La crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento può essere rilevante per escludere la colpevolezza, se venga dimostrato che il soggetto tenuto al pagamento aveva adottato tutte le iniziative per provvedere alla corrensponsione del tributo".
Contribuente assolto per evasione fiscale
La strana storia raccontata in precedenza dal Gazzettino di Venezia, arriva dal tribunale di Chioggia. Protagonista è un imprenditore che che non aveva procecuto al versamento delle imposte, tasse per oltre 200 mila euro superando così le soglie per la rilevanza penale del reato fiscale che intendiamoci, non deve sempre configurare un ipotesi di reato per così dire fraudolento ma è sufficiente che sia costituito dal mancato versamento di imposte superiore a determinati limiti.
La difesa del contribuente è stata incerntrata a dimostrare che che l’imprenditore ha si evaso il fisco ma per finalità per così dire onorevoli, una sorta di Robin Hood, che non versa le imposte per consentire ai propri dipendenti di percepire lo stipendio
A detta dei giudici il “fatto non costituisce reato” poiché si è venuto a trovare senza colpe e vie alternative nell’impossibilità di pagare gli acconti Iva”.
I Giudici non accolgono queste scusanti
Vi segnaliamo a tal proposito che la sentenza della Cassazione del 26 FEBBRAIO 2014, n. 9264 e la n. 5467 del 4 FEBBRAIO 2014, che vi invito aleggere hanno invece rinvenuto in questo comportamento il dolo generico del reato sulla base della crisi economica dell’impresa essendo irrilevante ai fini dell’adempimetno dell’obbligazione tributaria anche laddove come nel secodno caso la crisi sia detemrinata dalla mancata riscossione dei creditivantati nei confronti della pubblica amministrazione.
In altre parole la Corte di Cassazione nella sentenza n. 52038/2014non accoglie doglianze dell’imputato che porti in giudizio come causa principale dell’inadempienza il fatto di non avere pagato le imposte per poter pagare i propri dipendenti anche se convinto che le imposte fossero al di sotto delle soglie di punibilità, per cui occhio perchè vi potrebbe essere applicato il reato definito dall’articolo 10-bis del Dlgs n. 74/2000 che recita:
“E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo d’imposta.”
Questo a mio avviso nell’assunto che l’interesse della collettività a vedere pagate le imposte è maggiore dell’interesse dei singolo imprenditore e anche dei suoi dipendenti a non vedere pagate le imposte. Questo però a mio avviso sempre nell’assunto che non si dimostri in giudizio, molto difficile però da provare, che la chiusura della società rappresenta un costo maggiore dell’omesso versamento rispetto alla tassa pagata.
Conclusione
Nonostante quindi il Fisco abbia imposto centinaia di comunicazioni ed abbia a disposizioni lenti di ingrandimento e strumenti di accertamento fiscale particolarmente invasivi entrando a mio avviso forse troppo nella vita degli italiani i Giudici stanno anche delineando un indirizzo giurisprudenziale interessante. In questo caso è come se volessero dire che far fallire un contribuente e mandare per la strada i suoi dipendenti, rispetto all’evasione delle imposte ed in un contesto congiunturale negeativo quale quaello in cui stiamo vivendo, forse non è preferibile o quantomeno non costituisce reato perchè lo Stato e tutti noi di quel fallimento non ne trarremo beneficio. Del resto lo stipendio non percepito o il fallimento di un imprenditore porterebbe a mio avviso una perdita maggiore di quella derivante dal mancato versamento di un’imposta o di una tassa.
Vi anticipo comunque che di parere opposto a tale decisione già ne stanno uscnedo altre di sentenze…
Tuttavia la difficoltà per me è quello di saper dimostrare carte alla mano ad un giudice che la scelta di pagare una voce di costo piuttosto che un’altra in luogo delle imposte debba essre conveniente e indsipensaabile per la continuità dell’azienda altrimenti non credo che il Giudice possa accgoliere le richieste o la tesi della difesa. E poi con le ultime notizie di cronaca e di spreco di denaro pubblico la voglia di difendere i piccoli imprenditori che si trovano schiacciata da una pressione fiscale assurda ha sempre più vigore.
Al solito, spero di essere stato utile per darvi qualche spunto pratico per la vostra attività ma anche in generale qualche spunto di riflessione.
Il Direttore
Fabio Sanfilippo
"Nelle24Ore"