COSA RISCHIA CHI NON HA UN REGOLARE CONTRATTO DI LAVORO E DICHIARA DI USCIRE PER COMPROVATE ESIGENZE LAVORATIVE ?
A seguito del nuovo decreto legge “Coronavirus”, che restringe le libertà di movimento dei cittadini, coloro che devono raggiungere il posto di lavoro, ovunque situato, devono dotarsi di un’autocertificazione da compilare e presentare alle forze dell’ordine qualora fermati.
In essa bisogna specificare che la ragione per cui si è usciti di casa è legata a «comprovate esigenze lavorative». Ma come deve fare chi invece lavora in nero e non ha un regolare contratto? In assenza di formale assunzione, si può essere denunciati se si raggiunge la sede di lavoro?
APPROFONDIMENTO
Il contratto di lavoro in nero non è un contratto inesistente ma, al contrario, esplica tutti i tipici effetti di un regolare rapporto subordinato. Tant’è vero che, in assenza di retribuzione o di pagamento degli straordinari, del Tfr o dei contributi, il dipendente può ricorrere al giudice per far accertare il rapporto di lavoro e ottenere quanto gli spetta.
Chi pertanto, nel modulo di autocertificazione, dichiara di lavorare, seppur ciò avviene in nero, non sta dicendo alcuna falsità e non potrà subire alcuna conseguenza né penale, nè di altro tipo visto. Ricordiamo infatti che il lavoro in nero implica conseguenze sul piano amministrativo solo per il datore di lavoro.
La polizia peraltro non è tenuta a chiedere la prova di quanto autocertificato, pretendendo ad esempio l’esibizione del contratto di lavoro. Dunque, tutto ciò che può fare l’agente è verificare se la persona si sta dirigendo effettivamente dove ha dichiarato.
In sintesi, il rapporto di lavoro in nero è un rapporto di lavoro di fatto, del tutto lecito (almeno sotto il lato del lavoratore). Si può quindi ben autocertificare di recarsi al lavoro anche se non si ha un contratto o una busta paga come tutti gli altri dipendenti.
Fabio Sanfilippo
Nelle24Ore